Giovanni Carafa                    <<<  ritorna su

 

"A DUE PASSI DA CASA"

Testimonianza sulla Casa Editrice EPDO

e del fondatore l'artista/editore Roberto CAU

 

Il testo completo

Circa una ventina di anni orsono, allorché ebbi  a prendere casa nel centro storico cittadino, nell’indagare l’intorno ecco inaspettatamente l’attenzione cadere sulla saracinesca di un locale, lì,  di fronte all’austero architettonico della ei fu  “robbia” scuola elementare di via Bellini. Era, quella, una saracinesca che fino ad allora era rimasta sempre chiusa, pertanto, i relativi locali risultavano   in evidente stato di abbandono. Ora, invece, la vedevo splendere della fantasmagorica retrostante vetrina di una primiera coraggiosa produzione editoriale  locale d’autore.

 

Bah! 

                       

Mi dissi, con una punta di diffidenza.

Più volte, poi, confortato dalla quotidiana forsennata ricerca di un parcheggio per la mia utilitaria, il soffermarmi ad ammirare quelle variegate e cromatiche copertine mi faceva scoprire tanto di quel materiale, fino ad allora a me sconosciuto, di carattere etnico sardo, e anche di qualche inaspettata firma di conoscenti dell’amato ambito didattico della città.                                                   

Un dubbio, però, subito mi  assaliva: che non fossi io ad essere “prevenuto…”!        

Più transitavo per quell’avamposto e più vedevo crescere, al pari di quella produzione, la mia curiosità sulle nuove titolazioni che ora sembravano av-volgermi come quando ai grandi centri commerciali sono sempre e improvvisamente a distaccarmi dagli amati affetti per mirare e rimirare l’attrattiva di un settore di ferramente sempre pronto a offrirmi il tecnologico dell’ultimo ritrovato espresso in termini di piccoli elettroutensili, ma non solamente, e pur sempre per un chissà loro probabile eterno uso...

 

Vero, eh!    

                                                         

Succede un po’ a tutti noi del genere “artiere”.  

 

Va be’!     

            

Vedevo, pure, occasionalmente, un distinto signore, sempre di un elegante abbigliato d’abito, uscire da quel mondo incantato, e in un suo affrettato.  

Più, discretamente, lo osservavo e più mi incuriosiva il suo essere lì, in quella improbabile avventura propositiva, ma, non saprei… sì, proprio così, perché, poi, certamente, una punta di desiderata pareva comparire in me: «Che anch’io non potessi mai presenziare in quell’esposto, nel mai mio deciso intrapreso sempre lasciato sul nascere». 

Ormai, col tempo, quella primiera realtà pareva essersi consolidata.        

Intanto, questa mia recondita aspirazione diventava sempre più orizzonte di certezza, anche perché, lì, ora, veniva confortata dal comparire di firme a me ancora più vicine, seppur non confidenziali.

                                                           

Così, un dì, con l’evenienza di una rubata fotocopia, sono lì a parlare con quell’uomo.

 

La sua gentilezza, la pacatezza, il garbo e la disponibilità subito mi rapirono; da qui, il mio chiedere chiarimenti sulla sua attività editoriale e quanto necessario all’ospitata clientela.

                  

L’uscita da quei locali, non nascondo, mi aveva lasciato un po’ perplesso circa il potersi realmente intraprendere quanto nel mio più profonda desiderio. Però, allo stesso tempo, una sottile speranza pareva pure essersi incominciata a intravedere in quella primiera interlocuzione.                                                   

Più passava il tempo e più un “grillo roditore” era  a pervadermi, chissà perché… 

                                                      

E così, sono alla mia intraprendenza… alla mia fissa di sempre; col manoscritto alla mano sono a correre da quella garbata e fiduciante figura in abito.      

Ora, più  partecipavo ed esibivo il mio concreto sforzo, e più da quell’uomo emergevano rassicurazioni e chiarezza sul concreto forgiare un edito, il mio edito.

 

Sono al “settimo cielo!...”.

                                              

Ma, sinceramente, fino a quando la cosa non avrebbe avuto forma e preso consistenza, la mia incredulità rimaneva tale.

Intanto, l’essere ora grato, ed entrato, seppur timidamente in punta di piedi, in quel mondo a due passi da casa, mi permetteva pure di osservare, conoscere e capire, altro di quell’uomo, quell’altro che inaspettatamente stava diventando tanto vicino quanto era stato lontano  nella  primiera  sortita.

Sì, perché, parlare con Roberto (questo il nome di quella considerazione che da subito toglieva ogni possibile imbarazzo col suo relazionato confidenziale, sincero e distinto di un “tu”) mi permetteva di conoscere e conoscerci (quasi come due vecchi amici di sempre) e. pure in ogni nostro fare e intendere.

 

In che cosa?

                                                                

Beh, nel valore più profondo delle nostre personali vite: l’Arte, la pittura e di quanto intorno e di più desiderabile.

 

Roberto Cau                                                         

È stato, ed è tuttora, quello mio con lui, un leale e sincero partecipato e, senza ombra di dubbio, posso pure dire altrettanto serenamente ricambiato da parte sua, insomma, un vibrare all’unisono.

 

Ma, ora vediamo un po’ di entrare meglio in quello Studio, sì, perché di questo sostanzialmente si tratta: uno Studio d’arte a carattere anche editoriale, nato dall’idea originaria e originale di Roberto medesimo; una bizzarria, la sua, tanto bizzarra quanto «una vera scommessa», mi dirà poi.

 

Studiolo Museale EPDO - Piccolo Museo Oristano - Roberto Cau

 

 

la libreria EPDO

 

 

Appena varcata la vetrina, ecco ritrovarmi in una grande sala ben luminosa, calpestata da un esteso tappeto di fine foggia orientale, una scrivania con la sua onnipresente diavoleria tecnologica di oggigiorno: un PC tuttofare e al cui operato è eternamente incollata la giovane e cordiale presenza filiale.Da questa parte, invece, sono due ospitali poltrone, quindi, un accogliente divano, dall’austero pellame verde scuro, che è pronto ad accogliere ogni eventuale stanco accompagnato altrui.

Null’altro?                                                                  

Niente affatto!

                                                       

Non potrebbe essere né la natura, né lo specifico derivato di quello stimolo.

Tutt’attorno, sulle pareti, fanno bella mostra di sé alcune timide ma pregevoli stampe d’arte, e, subito dopo, un immerso…  di che!

Beh, di libri, ora in un impeccabile ordinato di libreria, ora in pila, qui e là, o su un centrale espositore che domina, quasi a mo’ di torre guardiana, ogni attrattiva.

 

È finita qui?

                                                              

Per niente!

 

Di fronte alla porta d’ingresso ecco un altro accesso, riservato, seppur dall’aperto sempre disponibile.                                                                      

Ed  è  qui  che  inizia  la  nostra/mia avventura!

 

Lui, Roberto, a volte “Roby” nel mio più confidenziale, è dietro a una scrivania dal richiamato di un PC, e poi, ancora tutt’attorno, tanta, tanta altra disponibilità, a pila e non, e in un cantiere sempre in  auge.

Ma ecco inaspettatamente l’essenza primordiale di quello spirito sempre giammai sopito: un’elegantissima e pregevole aura pittorica di valenza naturalistica dantesi al di là di un aperto ricercato architettonico.

Il richiamo è immediato: quanto di più aereo relazionato possiamo trovare nel rapporto cultura-natura in un restituito prospettico di gusto aulico che fece e fa ancora la stagione del nostro indiscusso riconosciuto e apprezzato portato italico in altre terre d’occidente e d’oriente.           

Sono polittici, tipo, lo scomposto di un unitario incorniciato dorato di pale d’altare dei tempi che furono, e che fanno vivere il continuum della realtà, quasi, al di qua e al di là del piano di finzione.                

Al di qua, è un porticato o un loggiato dagli apparenti riconosciuti stilemi conchiusi e un ammiccante pavimentato policromo a motivi geometrici; sono a mediare l’idea di paesaggio-giardino con quella di natura, una natura che, al di là, nell’orizzonte, seppur in un apparente darsi primigenio, di fatto di sa come natura “aggradata”.

L’uomo è assente in quel contesto; è, però,  la sua, un’assenza-presenza; sì, perché, poi, a ben considerare, la realtà del fine e aulico architettonico decorativo-pittorico nei suoi richiamati ricercati geometrici e i dissimulati materiali del costruito, nonché la detta duplicità di natura, è tutta lì a presenziarlo, anche se dal primiero coinvolto il riguardante è a dimenticare il trovarsi in una realtà  che  comunque  è  un  fatto  di “cultura”.                             

Insomma, la realtà, nella percezione e nell’immaginazione (l’elaborazione-interpretazione), non può che essere il portato proprio delle umane spoglie.

Il variegato fine cromatismo del primo piano di una ricercatezza floreale addomesticata, inoltre, si continua nelle aeree evanescenze pastello del  dato d’orizzonte  di  natura.                                  

Lo spazio, poi, pare dilatarsi oltre ogni dove e accogliere quest’occhio vagante che rapito com’è dimentica del suo essere al di qua per fare corpo  unico  nel  desiderato immaginifico.                     

Allora, per un attimo l’animo pare librarsi dai quotidiani affanni: è la magia dell’Arte, della pittura che si fa chiave di lettura, interpretazione di un’unità del sentire che apre a una dimensione altra, di connubio con il supremo appartenere, essere consustanzialità di e col creato. L’ordine delle cose umane diventa specchio dell’ordine della creazione  suprema.

La sintesi compositiva negli elementi linguistico-visuali assurge, così, a chiarezza di coscienza, poesia, ritmo vitale.

                                              

Di poche parole, ma essenziali, Roberto è pur sempre aperto al dialogo, pacato e di sincerità d’animo e di relazione.                    

Da profondo indagatore del più recondito religioso pittorico qual è, lui sa prontamente condividere ogni proposta sincera di pari corrispondenza professionale e, ovviamente, di  umanità.  

                                          

Ed ecco la sua grafica; immediata, istintiva e infinitamente creativa nell’essenzialità di un continuo lineare di modulazione stilografica mai abbandonata.      

Alcune occasionali macchie d’inchiostro sono pronte a stoppare, quasi come necessità cromatiche, l’eventualità di una pur sempre sospesa monotonia  di  indagine immaginifica.    

                          

Le larviche presenze antropomorfe, inserite come sono nella contestualità di semplicità spaziale, restano subito arcanamente identificate ora nell’individualità, ora nel far gruppo, nel ripetersi o nel caratterizzarsi, quasi un zoomare, per poi divenire linguaggio simbolico di un decoativo anche richiamante arcane presenze segniche di un primo volume di un manuale  di Storia dell’arte... Il bianco del foglio-campo e il nero assoluto di quel continuum grafico si esaltano vicendevolmente per proporsi, poi, in un inscindibile connubio di necessità.                                            

La particolare allogazione del pregevole restituito, quando ricercata in un accolto di minuta segnatura,   fa tutt’uno con il conferimento formale di foglio,     ora nello stretto e allungato rettangolare e ora nel suo tenue rilegato di un punto metallico e il suggellato e sigillato  carminio  timbrico-simbolico  di  ceralacca.

 

Ma ecco inattesa un’altra meraviglia, la sua, intendo, quella di Roberto, naturalmente; dal magico cilindro, pozzo senza fondo, è a comparire il simbolo dei simboli, l’enigma: lo scarabeo, lo scarabeo sacro, quasi richiamo concretizzato di un’individualità proprio di  quegli aggregati grafici già esperiti. È, di tutte le dimensioni, materiali e colori;   ora di foggia totemico-egizia, ora naturalistica, ora poggiante su un ligneo basamento che lo astrae dell’anonimo contesto, e ora allogato in una teca vitrea che lo mostra e lo cela… e, sempre lì, a richiamare la sua duplice natura: il sé e l’altro da sé;  il  dato  di  natura  e  quello  dello  spirito.

 

Roberto lo esibisce fiero, riservato, sommesso nell’espresso del suggerito, e, a rigore, proposto gelosamente solamente ai pochi, a quei sparuti avventurieri che come noi ha la sensibilità per il mistero, ami il mistero, pertanto, rifugga dalla regola, dalla nozione.         

                                               

Ogni volta che torno da lui, in quel suo/nostro Eden, sono a chiedermi, con lo sguardo attento e introspettivo, chi mai sarà quel “Merlino” che anima e forgia la materia quasi come un demiurgo caduto sulla terra, in questa valle di lacrime? Boh!

  

Giovanni Carafa              21 ottobre 2022