La Galleria d'Arte

di Giovanni Carafa

GIOVANNI CARAFA è nato a San Giorgio Jonico (Taranto). E' abilitato in Discipline pittoriche e fino alla sua messa a riposo è stato titolare di questo insegnamento sulla II cattedra del Liceo artistico statale "C. Contini" di Oristano. Da sempre si interessa di beni culturali e ambientali e di problematiche estetiche. I campi preferenziali di applicazione artistica sono l'incisione e stampa d'arte (calcografia) e le poetiche pittoriche dell'arte dopo il '45 fino agli anni '70/'80. Le tematiche di riferimento: le incisioni rupestri del Paleolitico, l'estetica medievale, la semiografia musicale. L'ambito didattico lo ha visto particolarmente impegnato nella metodologia dell'ideazione-progettazione pittorico-espressiva, nelle tecniche pittoriche dell'affresco e del mosaico e, ancora, nell'incisione e stampa d'arte originale e da riproduzione.

Giovanni Carafa

Le Opere di Giovanni Carafa

"ANEDDOTI D'ARTE"

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Carafa - Opera Pittorica 1

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Carafa - Opera Pittorica 2

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Carafa - Opera Pittorica 3

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Carafa - Opera Pittorica 4

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Carafa - Opera Pittorica 5

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Carafa - Opera Pittorica 6

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Carafa - Opera Pittorica 7

Il Castello D'Ayala Valva

Olio su tela cm.50 x 70

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Carafa - Opera Pittorica 8

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Carafa - Opera Pittorica 9

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Carafa - Opera Pittorica 10

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Carafa - Opera Pittorica 11

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Carafa - Opera Pittorica 12

Murales - Oristano

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Carafa - Opera Pittorica 13

Murales - Serramanna

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Carafa - Opera Pittorica 14

Murales - Allai

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Carafa - Opera Pittorica 15

Murales

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Particolare dei tubetti dei colori

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Prossima Pubblicazione di Giovanni Carafa

Giovanni Carafa

ARTISTA

ANEDDOTI D'ARTE

Produzione Artistica

a. Opere di incisione calcografica

b. - Opere pittoriche

b.1. - da studio

b.1.1. - sperimentali

b.1.2. - di composizione

b.2. - da cavalletto (en plein air)

b.3. - di muralistica

Una premessa

Realizzate un decennio dopo le prime sperimentazioni personali

"autonome" di istanze visuali (pittoriche1983-'85, di incisione 1986-'91 ) confrontantesi col contemporaneo dell'arte storicizzatosi tra il 1960-'70, pone tutta in essere la problematica del messaggio visivo il cui codice, pur organizzato su stimoli percettivi, resta comunque più di tipo "espressivo" che "semantico", pertanto una decodificazione del messaggio priva di "significazioni" propriamente linguistiche; ora il significato è la struttura stessa dei significanti (dei termini minimi, unità, della composizione considerata nella sua pura formatività.

Non si tratta più di una produzione "figurativa" (en plein air) o "simbolica" dove del messaggio è tuttavia possibile riscontrare "elementi semantici d'ordine imitativo, o dovuti a convenzioni iconologiche... un codice interpretativo basato su una tradizione culturale, in cui persino un colore assume un riferimento preciso".

I dipinti

L'intermezzo formativo "altro"... magari estraneo al più propriamente visuale, ma, comunque, di utilità didattica per il futuro professionale docente d'indirizzo... mi aveva catapultato in una frenetica attesa operativa.

Fu nell'estate del 1995, non appena adempiuto al mio primo incarico d'insegnamento "disciplinare"... che ebbi a ricollegare tutti i lacci di quell'esperienza visuale del primo decennio passato.

Il contemporaneo esigeva il suo.

Scesi di buon mattino nel cortile del signor Luca, lì, vicino alla legnaia, tra qualche sbarazzo domestico (una dormiente bici di un memore innocente, qualche consunto attrezzo da lavoro frettolosamente disseminato qua e là, e una miriade di barattoli di tinta muraria sbilenchi, accomodati alla più e meglio in pila per un loro improbabile riuso); guardai attorno il possibile accolto e, laddove appena qualche filamento d'incolto era ad apparire, ecco il tripode allestito nel e col suo dovuto.

Era ancora primo mattino; certamente "l'illucescit" era già adempiuto.

La tela, il bianco della tela mi lasciava silente e riflessivo, religiosamente riguardante.

Su un accomodato di sedia avevo riposto l'ampia tavolozza lignea e nel possibile rimasto, loro, i pennelli, gli artefici di quella gestualità che ormai fremeva di un atteso tanto cercato quanto mai ancora potuto esplicitare.

Era l'efferenza più immediata che muoveva la direzionalità cartesiana di quel dì, così, nell'impeto, ecco un primiero micro segno, eh, sempre lui, il Prussia, e di un dieci, una pennellata intermedia (?).

Una verticalità è subito seguita qui e là, nella tensione del campo

Cambio un po' quel modulo grafico, sempre velocemente, per poi abbandonarlo temporaneamente.

La fedele valigetta, col suo pregiato accolto, riposta com'era sul nudo battuto mi costringeva a un continuo articolato motorio quasi di concorrenza con quell'altro educato che invece, in piedi, avrebbe esternato di sé ogni urgente restituito sentire.

Un pò di Titanio, si un po', e subito il re della mia usuale costellazione è a smorzarsi.

Il repentino tonale trova ospitalità sull'osato precedente, quando affiancato e quando singolo, nella sua individualità; eh, ma, chissà perché, ancora nella ortogonalità di necessità, di quella gestualità prima.

Intanto la tela comincia via via ad articolarsi in una dialettica di segni e direzionalità "educate", conformate al "movens...", sì: altre gradazioni di tono sono a comparire, anche in varianti di sfumature di tinta appena altre, in consonanza.

I piani di profondità ora emergono con un timido pullulare segnico-materico (ductus).

Un imput è a imporsi prepotentemente: "E perché, perché non adempiere a un percepito intuito compositivo in cui la regola ortogonale possa trovare un corrispettivo

in una ortodossa limitazione, quasi monocromatica, sulle variazioni tematiche del blue, a tre toni!?".

E sia!...

L'impresa è ardua; si, perché il mio finora più proprio pittorico avrebbe voluto perseguire la policromia più suggestiva, più propriamente pittorica, di delizia tutta mediterranea, e, invece...

Insisto, insito nel nuovo proposito, ma subito mi accorgo che quel tessuto, quella "texture" cromatica nel suo procedere ritmato e di richiami equilibrati di tinta e di tono ora necessita di un tocco, sì, un deciso tocco che possa definirsi e definire il discorso di primo piano e assurgere quasi a libera melodia, pacata nella quantità, ma da solista nel suo darsi; dunque è il complementare: l'arancio, e, a momenti, anche riscaldato dalla sua genia carminio.

Basta, basta così: sono esausto.

Quell'esperienza motoria a tu per tu col bianco iniziale della tela mi ha spossato.

Si, il sole ora è alto, implacabile nel suo stagionale; il restituito pullula di sé in una miriade di costellazioni diurne a rasserenare ogni irruente originario temperamento.

La quiete celeste di quei partiti ha così sposato l'ardire dell'amore portandolo tra i nostri affanni.

Così sono a raccogliere i ferri del mestiere.

Intanto la signora Anna, nostra dirimpettaia, timidamente è a varcare la soglia di casa, tanto per restituire un ben avuto dalla sua amica; guarda a distanza, con discrezione, quasi furtiva, ma compiaciuta che un raggio di sole sia sbocciato tra quei solinghi e silenti intorni domestici: "Buongiorno!", è la signora Anita, la padrona di casa, ad aprirle la porta, e...

Il dipinto

Il dipinto il Castello di Rocca, dunque; uno dei tanti disseminati dei conti D'Ayala Valva nei dintorni; questo l'identificativo dell'oggetto del mio intendere.

Una dimora ancora abita fino agli anni Settanta dello scorso millennio, e ora silente, addormentata tra le pieghe della storia.

Dopo la prima, in assoluto, sortita pittorica en plein air riferita all'inebriante casamento di "Villa Còfano", in Sangiorgio, questa di Roccaforzata risultava essere la mia successiva (il mio secondo dipinto di paesaggio urbano).

Ero carico emotivamente; aspettavo solamente il dì propizio per battermi a tu per tu con quell'antico guerriero che non a pari e similari armi muoveva (sic!).

Al solito, arrivai di buon mattino sul campo.

Mi fermai vicino all'allora fontana pubblica (via Cavour angolo via Sant'Elia).

Era, quello, lo scorcio che da sempre eternava l'unità formale del maniero.

Ricordo, ebbi vari problemi nel decidere l'inquadratura, tanto perché la stretta via, ostruita anche dagli antistanti filari arborei, non consentiva di carpire altro del nostro se non il coronato portale d'accesso e qualche grazioso cesellato affaccio della dimora gentilizia del primo piano.

Dopotutto, erano gli elementi più pregnanti che emergevano da un immenso piano murario che i datati rimaneggi hanno proposto celando l'essenza più propria del tempo che fu.

Ben così: avevo un'arma in più per poter fronteggiare quel ribelle acquietato (?).

Uhm.

In fondo alla via di accesso, là dove questa mena a mezzogiorno, è l'umile chiesetta di San Nicola, sacralità più propria dell'antico cuore cittadino; la sua, al cospetto del laico presenziato, parea (pare) dissolversi dimensionalmente.

Dunque, pretendevo assolutame che in qualche modo, sebbene di sfondo, lontana, quella casa dell'Altissimo avesse un suo presenziato: bisognava solamente correggere l'indizio di profondità, il rimpicciolimento; e così è stato.

Non c'erano altri elementi caratterizzanti in quel sorpreso paesaggio mattutino, se non, proprio vicino a me, in basso a sinistra, l'appena inquadrato lamierato di una utilitaria in sosta (non vietata, eh!...) e subito dopo, un po più addossato al marciapiede, il tre ruote (ricordate? _L'ape_ _car_ di un mio irruente narrato cittadino...), sempre lui...

In alto, invece, un ciuffo d'Aleppo.

Dunque, bisognava fare i conti con "quello che potè passare il convento".

È inutile starvi a ripetere degli obbligati rapidi e sintetici segni di tracciamento a matita della struttura compositiva.

Proprio quelle realtà formali grafico-lineari permarranno parzialmente a vista sulla tela secondo le necessità espressive del restituito nel suo farsi, conservando il primum movens del godimento estetico.

Il Prussia farà pure la sua sua prudente comparsa di delineato, pronto a lasciare il posto a campiture-macchia che nelle relazioni di tono e/o contrasto di complementarità (rosso/verde, viola/giallo) ma anche nei decisi piatti partiti di assonanze (rosso/arancio) articoleranno ogni dettaglio di considerazioni.

Il bugnato del portale di quel frontista sarà l'elemento formale e pittorico dominante, prontamente richiamato

dallo sbrigativo finestrato del "gentile" piano superiore. Il ritmo cromatico pullula qua e là, in ognidove, quasi anticipare il luccichio stagionale del dì che s'appressa.

Il motocarro (l'Ape...) è sempre lì, col suo cabinato di spalle. Nel restituito farà la discreta comparsa nei caldi rossi e gialli, mentre quel lamierato altro ridurrà il suo bagliore in una miriade di richiami cromatici d'ambiente. Il punto "prospettico" focale compositivo, poi, riscatterà, come atteso, il minuto architettonico del santo baresano laddove l'acuto concluso di facciata e il netto contrasto di tono tra lo squillante rosa e il Prussia saranno prontamente a richiamare, con una nota carminio il corrispondente partito del "laico" accesso del primissimo piano (il castellano portale).

Sarà uno sbrigativo fuoco d'artificio d'Aleppo di verde vescica a fermare, in prossimità dell'angolo superiore sinistro, il moto sfuggente dell'austero maniero ora acquietatosi in quell'intorno di eguale policromia.

Intanto, un rappresentante del locale ordine municipale è ad apprestarsi al mio in un chissà tacito guardino occupato di suolo pubblico, o